I costi di produzione in Italia per la filiera dei bovini da carne biologica sono tra i più alti di Europa, è quanto si legge nel rapporto catena della filiera carne bovina biologica di Ismea. A incidere maggiormente è il mangime, l’alimentazione bio costa quasi il doppio rispetto a quella convenzionale. A preoccupare gli allevatori biologici che non riescono a essere autosufficienti sono soprattutto i prezzi dei cereali, della soia e delle colture proteiche cresciuti di oltre il 40% già nel 2021 a cui si aggiungono i rincari energetici. Di contro i prezzi di vendita del biologico sono rimasti sostanzialmente stabili. Una filiera che nel 2021 contava 400.000 capi di bovini biologici sia da latte che da carne, circa il 7-5% del patrimonio bovino italiano e che, a differenza di quella convenzionale, ha visto aumentare la domanda se pur lievemente in termini di quantità. Merito anche a una maggiore sensibilità del consumatore rispetto a temi centrali quali la salute e l’alimentazione.
Il consumo pro-capite stimato di carni bovine si attesta sui 16,8 kg annui: oltre il 2% all’anno il calo registrato nell’ultimo decennio.
Un mercato che con 8.000 tonnellate ha un valore stimato in base ai prezzi e al consumo pari a 160 milioni di euro, ossia lo 0,8% della carne bovina complessivamente consumata. Una quantità davvero modesta rispetto alla carne convenzionale. A pesare sul segmento un’organizzazione della filiera bio piuttosto carente. La mancanza di una domanda vivace di biologico induce spesso gli allevatori certificati bio a vendere la carne come prodotto convenzionale. Pac, Pnrr e piano d’azione nazionale per lo sviluppo del biologico potrebbero rappresentare un’opportunità completa per gli operatori del settore.