Fuga dall’agricoltura: non è il titolo di un film ma è la fotografia che emerge dall’ultima analisi dell’Osservatorio sul Mondo Agricolo dell’Inps, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, che ha diffuso qualche giorno fa i dati aggiornati al 2022 che registrano, nel nostro Paese, un decremento importante del numero di aziende agricole, lavoratori dipendenti e autonomi. Un trend preoccupante, soprattutto per la Puglia. Disaggregando, infatti, territorialmente i dati emerge che il numero di aziende nella nostra regione che occupano operai agricoli dipendenti è passato da 30.638 nel 2021 a 29.389 nel 2022, con un decremento pari al 5,1% ben superiore al dato medio nazionale che si attesta al 3,1%.
E’ indubbio che la crisi economica, l’aumento dei costi, la mancanza di un ricambio generazionale e lo stesso cambiamento climatico hanno lentamente ma inesorabilmente scavato nella fiducia degli agricoltori, alcuni dei quali piuttosto che lavorare in una condizione di reddito negativo hanno preferito tirare i remi in barca e chiudere l’attività. Anche perché al momento non si vede un grande rilancio degli strumenti europei e nazionale in grado di assicurare la sovranità alimentare, ridurre la dipendenza dall’estero e garantire un giusto prezzo degli alimenti per produttori e consumatori. Anzi, le direttive europee spesso non aiutano l’agricoltura pugliese a causa dei nuovi modelli di sviluppo “ecologici” che fissano dei tempi irrealistici per il raggiungimento degli obiettivi ambientali, tempi che finiscono inevitabilmente per far collassare le economie rurali.
A scatenare un nuovo vespaio, da ultime, la proposta di regolamento sugli imballaggi, approvata lo scorso 24 ottobre alla Commissione Ambiente dell’Europarlamento. Una proposta che vuole prevenire la produzione degli imballaggi attraverso la limitazione dell’utilizzo di quelli non necessari, vietando ad esempio, tra le altre cose, gli imballaggi monouso per condimenti nel settore alberghiero. Proposta che, se approvata nella sua attuale formulazione provocherebbe, secondo tanti in Italia, effetti pesanti sulle filiere produttive e sui consumatori non solo in termini economici ma anche di spreco alimentare. Spingendo, soprattutto, per il riuso al posto del riciclo, settore quest’ultimo in cui l’Italia è diventata un’eccellenza europea.
Le posizioni in campo, come è normale che sia, sono diverse e per certi versi contrapposte. Si spera in un esito che sappia tenere insieme per quanto possibile gli interessi della maggior parte degli attori coinvolti. Anche perché la sostenibilità ambientale non può essere raggiunta senza tener conto di una altrettanto importante sostenibilità economica e sociale.
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